Tu si ‘nu babbà!

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Per i Napoletani è una vera e propria categoria di dolcezza, il simbolo di un carattere sensualmente morbido (dire a una persona “sei un babà” suona quasi come una dichiarazione d’amore).
È un dolce per tutte le stagioni, indipendente da feste religiose e da occasioni rituali. Ogni momento è quello buono per assaporare un babà in versione monoporzione nella tradizionale forma bouchon, che ricorda il tappo di una bottiglia di Champagne stretto sotto e a cupola sopra, oppure a fette quando il babà si presenta grande e con la tipica forma a ciambella con il foro al centro.
Eppure quello che oggi viene considerato da tutti una tipicità della cultura gastronomica napoletana in realtà non è nato qui.
Ad inventarlo agli inizi del 700 è stato un re polacco, Stanislao Leszczinski, il quale visse parte della vita in esilio nella città francese di Luneville, dove il suo pasticcere cercava di alleviarne le pene politiche sfornando continuamente nuove golose creazioni (questo maestro dell’arte dolciaria era Nicolas Stohrer, l’inventore di alcuni tra i dolci più celebri della gastronomia europea).
Sembra però che il sovrano non amasse particolarmente il kugelhupf, un dolce tipico polacco che egli trovava troppo asciutto e che un giorno, stufo dello stucchevole dolce, l’abbia scaraventato dall’altra parte della tavola dove per puro caso si trovava una bottiglia di rhum.
Il liquore rovesciandosi sul dolce emanò un profumo tale che lo zar, dopo averlo assaggiato se ne innamorò e, essendo un lettore appassionato de “Le mille e una notte” lo chiamò Alì Babà, come il personaggio di questi racconti da lui preferito.
Nel 1725 la figlia di Leszinscki, Maria, sposò il re di Francia Luigi XV e Sthorer (con il suo neonato babà) la seguirono approdando alla reggia di Versailles. Al pasticcere polacco venne concessa la licenza di aprire una pasticceria al centro di Parigi, più precisamente al numero 52 di rue Montorgueil, dove ancora oggi è possibile assaggiare la versione originale del babà.
La versione partenopea del dolce si distingue da quella d’oltralpe per la sua straordinaria leggerezza, ottenuta grazie alla triplice lievitazione della pasta, che viene poi imbevuta di rum diluito con uno sciroppo di acqua e zucchero, nonché per la laccatura esterna ottenuta con della marmellata un po’ liquida di albicocca che impermeabilizzando l’esterno del dolce consente all’interno di rimanere umido e morbido per molti giorni.
Ma se il babà nasce a Parigi è certo che rinasce a Napoli. E questa seconda nascita è decisiva per la storia di un dolce che deve la sua fama soprattutto alla versione partenopea.
Molto probabilmente furono decisivi i cosiddetti monsù, i cuochi francesi che lavoravano nei palazzi aristocratici napoletani, artefici di uno straordinario connubio tra la tradizione napoletana e la cucina francese che si può riconoscere in piatti straordinari come il gattò di patate e la pasta al gratin. Il babà è insomma il risultato di una triplice alleanza gastronomica tra Polonia, Francia e Napoli. Ma è solo quest’ultima che ha saputo dare al dolce il suo decisivo imprinting mediterraneo, rifacendolo a sua immagine e somiglianza. Il risultato è una capolavoro di altissima pasticceria alla portata di tutti, leccornia aristocratica e popolare.

LA RICETTA: il Babà Napoletano!

 

di Anna Maione

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