Nel III canto dell’Inferno, Dante incontra un suo concittadino, Ciacco, al quale chiede: “Ma dimmi, se tu sai, a che verranno – li cittadin della città partita – s’alcun v’è giusto, e dimmi la cagione – per che l’ha tanta discordia divisa.” Alla seconda e alla terza domanda che sono quelle che interessano per l’argomento in questione, Ciacco risponde: “Giusti son due, e non vi sono intesi – superbia, invidia e avarizia sono – le tre faville c’hanno i cuori accesi.” Due soli giusti in una città come Firenze del duecento che contava meno di 100.000 abitanti, sono davvero pochi. Del resto essi non sono neppure ascolati, cosa che determina, tra l’altro, il diffondersi dei tre veleni (rappresentati all’inizio del viaggio dalle tre fiere: lonza, leone e lupa).
La situazione non cambia di molto nel nostro tempo, sempre più avvelenato dall’odio e dall’inimicizia, oltre che dalle guerre, alcune delle quali, decennali, e dove gli uomini migliori vengono ignorati. Agli individui di tutti i tempi, per costruire rapporti di comprensione e di pace, è mancato l’ascolto dei “giusti”. Socrate, Gesù, Giordano Bruno, Ghandi, Martin Luther King, Malcom X, il vescovo Romero, per fare solo alcuni nomi dei tanti uomini la cui parola si presentava talmente in contrasto con le gli istinti che guidano l’umanità, finirono per essere eliminati fisicamente.
All’ascolto sincero segue necessariamente il dialogo aperto, il quale ha la forza della comprensione delle posizioni anche distanti e controverse, e del superamento della conflittualità, dovuta quasi sempre alla chiusura, la quale da adito alla prevaricazione, alla prepotenza, all’odio, a tutti i mali affini e alle guerre con o senza armi.
“La verità spesso emerge da posizioni in contrasto, oppure da dispute antagonistiche,” sostiene Lou Marinoff, uno dei maggiori consulenti filosofici del mondo, in “Qualunque fiore tu sia sboccerai”, scritto in un dialogo serrato con Daisaku Ikeda, fondatore e presidente del movimento buddista Soka Gakkai. Secondo i due autori del libro interessantissimo, non c’è altra via di scampo che il dialogo per l’umanità sempre sotto la minaccia delle guerre. Le quali non si svolgono soltanto lontano da noi. Le strade non sono forse dedi campi di battaglia? La prevaricazione di alcuni stati su altri all’interno di una stessa comunità non sono guerre mascherate? Ma il primo luogo dove combattere la guerra, secondo gli autori, è il proprio animo dove si alimentano gli istinti aggressivi e distruttivi. “La mente umana – scrive Ikeda – può essere un vortice di odio, avidità, insoddisfazione, ignoranza, sfiducia, angoscia e insicurezza”, tutti alimenti degli odi e delle guerre, in qualsiasi modo esse si manifestano. Purtroppo anche tra gli uomini di pensiero, da sempre vi è chi ha sostenuto l’ineliminabilità dei conflitti, e non basta scomodare Eraclito o Hobbes o Hegel.
In un interessante saggio del 2005, dal titolo “Un terribile amore per la guerra” edito da Adelphi, lo psicanalista junghiano, James Hillman, ha sostenuto che la guerra “è un’opera umana e un orrore umano che nessun altro amore è riuscito a vincere.” Le cause, vanno individuate nella costruzione del nemico, spesso fomentata dagli stati e dalle religioni. “La guerra in quanto tale rimarrà finchè gli dei stessi non se ne andranno.” (Hillman).
Forse, più che attendere la scomparsa degli dei, bisogna incoraggiare individui e popoli al dialogo, che, con Socrate, tanto ignorato, è all’origine del pensiero occidentale. “Il dialogo è come una danza di parole. Quando le persone dialogano, danzano insieme e sperimentano l’unità” (Lou Malinoff).
L’unico interrogativo che rimane è se saranno ascoltati questi uomini saggi e giusti.