L’inferno sono gli altri?

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L’inferno sono gli altri? L’interrogativo è quasi una certezza per Jean-Paul Sartre, pensatore francese (Parigi 1905-1980), autore di numerose opere teatrali, romanzi, ma soprattutto filosofo dai molteplici interessi speculativi, generalmente definito esistenzialista.
Tra i suoi lavori di filosofia, “L’essere e il nulla” è considerato il più articolato e importante. Una vera summa del suo pensiero, il centro della quale, la parte terza, “Il per-altri”, è dedicato all’esistenza degli altri e al loro rapporto con il “per sé”. “Altri si presenta – scrive a pagina 294 – in un certo senso, come la negazione radicale della mia esperienza, perché è quello per cui io sono non soggetto ma oggetto. Io mi sforzo, quindi, come soggetto di conoscenza, di determinare come oggetto il soggetto che nega il mio carattere di soggetto e mi determina anch’esso come oggetto”. In parole più semplici, noi riconosciamo gli altri non come persone dotate delle nostre stesse capacità, soprattutto della stessa libertà, ma come cose, oggetti tra gli oggetti. Il mezzo attraverso il quale avviene la mia riduzione a oggetto, è lo sguardo. “Lo sguardo altrui, come condizione necessaria della mia obbiettività, è distruzione di ogni obbiettività per me” (pag.340).

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L’altro che mi guarda e mi scruta, nonostante non sia in grado di andare oltre la “cosa” e vorrebbe sollevare “il velo di Maya” penetrandomi nella coscienza, appare pertanto il mio nemico; colui che non mi scorge come persona unica e particolare, ma come cosa tra le cose, non diversa da un sasso, da una suppellettile che si sente autorizzato a muovere e spostare. Inoltre, pur non non essendo in grado di riconoscermi come soggetto di pensiero e di libertà, si sente autorizzato a giudicare e ad anametizzare. Non vi è cosa peggiore, sembra dire il filosofo di uno sguardo penetrante e nemico. “Ognuno riconoscerà la presenza immediata e bruciante dello sguardo di un altro che lo ha spesso riempito di vergogna”.
Durante questi mesi circola in Francia un romanzo straordinario, divertente e commovente ad un tempo, “La meccanica del cuore” di Mathias Malzieu, in cui si racconta di un bambino nato col cuore ghiacciato. La levatrice, per salvarlo, glielo sostituisce con un orologio che necessita di continue manutenzioni. Crescendo, tutti avvertiranno il tic tac del suo congegno e lo renderanno oggetto di scherno ma anche di violenza. C’è un momento particolarmente significativo nel romanzo, quando il piccolo Jack inizia ad andare a scuola. “Avanzo nel cortile. Scruto i volti. Gli studenti mi sembrano versioni in miniatura dei loro genitori. In mezzo ai mormorii, il mio orologio si sente un pò troppo distintamente. Mi guardano tutti come se avessi una malattia contagiosa. All’improvviso una brunetta mi si pianta davanti e comincia a fare tic tac, ridendo. Il cortile ripete in coro”. Ma lui, Jack, non si scoraggia. Sembra avere un carattere di ferro. E, nonostante la levatrice Madeleine, che lo ha curato nei primi anni, gli abbia sconsigliato di innamorarsi, “l’amore è troppo pericoloso per te”, Jack non l’ascolterà. Anche lui ha diritto di amare.
Il romanzo potrebbe essere letto come la traduzione letteraria della tesi di Sartre.

[alert_box style=”message” close=”yes”]Il fatto che l’altro non mi riconosca come persona, può indurlo a odiarmi non solo, ma anche ad annullarmi sul piano fisico con la violenza.[/alert_box]

Il fatto che l’altro non mi riconosca come persona, può indurlo a odiarmi non solo, ma anche ad annullarmi sul piano fisico con la violenza.
Sembra, pertanto, che il filosofo voglia fare piazza pulita di tutte quelle concezioni, religiose e filosofiche, le quali credono in una bontà originaria dell’uomo. “La quasi-totalità soggettiva si degrada e diventa totalità-oggetto coestensiva alla totalità del mondo” (pag 371). Nelle parti successive, soprattutto in quella relativa a “Il corpo”, Sartre analizza le possibilità di superamento di questa lacerazione tra gli uomini.

 

di Domenico Casa

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