Ma cos’è questa “NATURA”

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Spesso, i sostenitori e difensori di una presunta sua purezza originaria e immutabile, parlano della natura come un’entità metafisica, una specie di divinità immanente da cui far discendere valori e comportamenti. Infatti, l’espressione “secondo natura”, benché di vecchio stampo medievale, coniata nelle filosofie e nelle teologie conventuali, è ancora ricorrente e tesa a stabilire ciò che sarebbe in sintonia con la natura e ciò che, al contrario, sarebbe contro natura.
Ma, se si riflette senza i paraocchi ideologici e le lenti deformanti dei pregiudizi e dei luoghi comuni con cui è stata alimentata la mente, e che, il più delle volte, usiamo per “guardare” superficialmente la realtà, ci si renderà conto che il concetto di “natura” è un concetto astratto, mai dato o rilevato “in natura”.
L’uomo, infatti, fin dalle sue prime apparizioni, fin dai suoi primi passi e movimenti su questo pianeta, ha prodotto dei mutamenti incontestabili e incontrovertibili. Altrimenti camminerebbe ancora su quattro zampe e, tutt’al più avrebbe costruito palafitte.
Oppure si coprirebbe, se necessario, con foglie di fico o pelli di altri animali. Tutt’al più saremmo fermi a quel punto.
È evidente, anche ai cultori della “Natura”, che le cose non stanno così. Essi, tuttavia, sostengono che, quando parlano di natura, si riferiscono a ben altro, cioè a una natura umana “spirituale”. Che cosa essa sarebbe, poi, non è una questione di facile soluzione, poichè, a riguardo, le congetture sono tante e, spesso, in un contrasto così stridente che nessuna mente dialettica (Hegel) riuscirebbe a superare e a risolvere in una sintesi. Spia evidente che si parla di qualcosa di ineffabile, molto lontana dall’essere reale delle cose e dalla loro concreta “esistenza”, plasmata, nel corso dei secoli, tenendo conto di una pluralità di condizioni e di variabili, storiche, ambientali, educative, psicologiche, religiose. In una parola, “culturali”. Pensare oggi l’uomo come un essere “naturale”, è praticamente impossibile.
Egli è “un universo complesso e sconosciuto” (Alexis Carrell); “uno straniero in casa propria” (Sigmund Freud), a cui ci si può avvicinare in silenzio e con rispetto, nella consapevolezza che nessun sapere, per quanto alto e profondo possa essere, riuscirà a comprenderne la realtà particolarissima, modificata lungo il corso dei secoli dalla cultura. Naturali potrebbero essere considerati gli istinti, ossia la materia grezza di cui è costituito.
Ma anch’essi hanno subìto il lavorio della “cultura”, a leggere Freud de “Gli istinti e le loro vicissitudini”.
Sono naturali il dolore e l’amore? Certo. Ma le modalità di espressione e di elaborazione hanno intrapreso vie complesse e molteplici e subìto trasformazioni talmente sorprendenti da renderli irriconoscibili a un “uomo” di seimila anni fa, il quale, per assurdo, ritornasse nel mondo.
Come irriconoscibile è il blocco di marmo che è stato limato, levigato, trasformato in una statua di un dio o di un essere umano, in un capitello, in un rosone, un altare, un piano da lavoro, un pavimento, un Davide di Michelangelo o in una Venere di Milo. Ecco, il marmo sarebbe la natura, la mano dell’artista, invece, è la cultura che plasma l’argilla. Continuare a chiamarla marmo, dopo essere divenuta statua o altro, sarebbe da considerare quanto meno una ingenuità. Che poi uno diventi statua e un altro impiantito, è proprio da attribuire alle modificazioni particolari che la “cultura” opera sulla natura.

 

di Domenico Casa

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