La presbiacusia. Fisiopatologia dell’invecchiamento uditivo

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La presbiacusia aumenta progressivamente con l’avanzare dell’età: in Italia il 60% delle persone con più di 85 anni soffre d’ipoacusia e dopo i 65 anni la perdita progressiva dell’udito è pari a 0,5 dB per anno, anche se l’aggravamento del deficit tende a peggiorare progressivamente nel tempo, arrivando fino a 2db per anno a 85 anni.
L’organo del Corti trasforma l’onda sonora meccanica in impulso elettrico, attraverso la depolarizzazione delle cellule ciliate interne dell’epitelio cocleare, le quali, innervate da numerose fibre uditive, trasferiscono il segnale al sistema nervoso centrale dove viene codificato in messaggio acustico. Questo è un processo complesso, in cui l’impulso sonoro viene modulato attraverso un articolato sistema di connessioni afferenti ed efferenti (che coinvolgono le cellule ciliate interne ed esterne, la corteccia e le strutture cerebrali limbiche, olfattive, motorie etc.), producendo effetti sulla corteccia e sulle strutture nervose che influiscono sul tono dell’umore e sull’equilibrio.
Il deficit uditivo deve essere differenziato da un punto di vista quantitativo (capacità di percepire determinati suoni) e qualitativo (la qualità con cui i suoni sono percepiti). Numerosi studi hanno indagato le cause della discordanza tra l’audiometria tonale, che valuta la soglia di percezione dei suoni, e l’intelligibilità vocale. Il concetto di zona morta cocleare (ZMC), introdotto da Moore, ha consentito una migliore comprensione del comportamento fisiologico dell’organo del Corti, e ha chiarito come si verificano i meccanismi di distorsione acustica. Moore ha evidenziato come la perdita completa di una frequenza sia causata dalla perdita di una cellula ciliata interna, mentre la perdita delle cellule ciliate esterne comporta deficit acustici non superiori a 65 dB.
Per spiegare i fenomeni distorsivi, si è elaborata la teoria dell’onda viaggiante, in cui la coclea è concepita come una tastiera di pianoforte: la ZMC potrebbe essere paragonata alla perdita di un tasto. Quando questo evento si verifica, per una sorta di plasticità adattativa i tasti vicini sono sollecitati dalla frequenza acustica, che andava a stimolare la zona ormai morta. L’area lesionata non è, quindi, sostituita, ma vicariata dalle aree vicine, producendo, così, un compattamento del messaggio acustico, per cui stimoli sonori differenti sono percepiti in modo simile a livello centrale, con una conseguente distorsione del messaggio stesso. I test diagnostici delle ZMC maggiormente utilizzati sono l’impedenzometria multi frequenziale e il TEN-test. In ogni caso la diagnosi di ZMC è solo presuntiva ed è principalmente rilevante quando la perdita uditiva è di entità medio-grave con un importante discordanza tra la soglia di percezione e l’intellegibilità vocale, poiché la sua presenza rende più difficile la riabilitazione acustica.

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