Non occorre essere medici per salvare una vita. In caso di arresto cardiaco
è sufficiente disporre di una semplice apparecchiatura e saperla usare.
Si sente spesso parlare della necessità di poter disporre in ambienti pubblici, solitamente affollati, di apparecchiature cardiologiche, denominate Defibrillatori, allo scopo di poter fronteggiare improvvise e mortali complicanze cardiologiche, come un improvviso arresto cardiaco. Ciò determina entro una decina di minuti, se non si interviene subito, la morte dell’individuo.
Così il mondo sportivo è rimasto scosso per l’improvvisa e drammatica morte sui campi di gioco del calciatore del Livorno Piermario Morosini e del pallavolista Igor Bovolenta. Se questi episodi hanno messo a rumore gli sportivi per un’adeguato servizio di prevenzione sui campi di gioco, ed a riguardo v’è stato il Decreto Legge del Ministro Balduzzi del 26 aprile scorso in attuazione della Legge 189 dell’ 8 novembre 2012 per le linee guide delle certificazioni mediche e l’utilizzo dei defibrillatori da parte delle Società sportive, ciò non toglie che ovunque, sulla strada ed in tutti i luoghi pubblici si sono verificati e possono ancora verificarsi drammatici episodi di emergenza cardiologica.
I battiti del cuore
La regolazione del battito cardiaco normale, che corrisponde per ogni battito ad una contrazione dell’intero muscolo cardiaco, avviene mediante impulsi elettrici che fanno capo a due importanti punti di riferimento del cuore: il primo è detto “nodo del seno atriale”, da dove parte il primo stimolo che percorre la parte superiore dei due atri e raggiunge il “nodo atrio-ventricolare”, da dove passa ai due ventricoli, destro e sinistro, provocandone così la sua contrazione ed espulsione della massa di sangue nel circolo arterioso generale (Aorta) e polmonare (Arteria polmonare). Quando questa attività bioelettrica viene interrotta si crea una mancanza di coordinamento degli stimoli regolari alla contrazione cardiaca. Questa avviene perciò da parte dei due ventricoli in modo anomalo ed insufficiente come delle vibrazioni, determinando un arresto cardiaco. Tale condizione, che viene definita come “fibrillazione ventricolare” in mancanza di un intervento di rianimazione cuore-polmonare e scossa elettrica con un Defibrillatore semiatutomatico, può condurre a morte.
La nascita del Defibrillatore
Questa apparecchiatura che può salvare la vita di una persona è stata scoperta per la cocciutaggine di un medico di voler salvare la vita di un uomo in sala operatoria. Era il 1947 e in un piccolo ospedale americano durante un intervento di appendicectomia un giovane paziente non cardiopatico fu colpito da un arresto cardiaco per fibrillazione ventricolare. Venne attuato subito un massaggio cardiaco mentre il medico anestesista manteneva una forzata respirazione con l’apparecchiatura in dotazione. Poichè il cuore non riprendeva il suo ritmo ed i minuti passavano, avvicinandosi il momento del non ritorno, fu a quel punto che l’operatore, il chirurgo Claude S. Beck, decise di collegare con un filo elettrico un prototipo sperimentale di defibrillatore erogando con due elettrodi appoggiati sul cuore una corrente alternata di 60 Hz e il battito riprese regolare. Da quel momento gli esperti di tecnica e di Fisiologia cardiovascolare intuirono e tradussero la possibilità di dotare la Medicina di migliori e perfette apparecchiature, defibrillatori semiautomatici esterni, abbreviato come DAE o AED (Automated External Defibrillator). Questi prima erano enormi e poi in piccolissime dimensioni per la risoluzione di quelle gravi aritmie, come la fibrillazione ventricolare, che possono comparire dopo un infarto cardiaco, interventi operatori normali e di cardiochirurgia. Nel 1980 l’industria con i suoi tecnici è riuscita a mettere sul mercato anche il primo pacemaker defibrillatore impiantabile, denominato ICD (Inplantable Cardioverter Defibrillator) da sistemare sotto la cute collegato al cuore del soggetto a rischio, affetto da malattie cardiache e con il rischio di un possibile arresto cardiaco. La sua diffusione in tutto il mondo è stata rapida e milioni di persone devono a questo presidio tecnico la loro vita.
Quando il cuore può fermarsi
L’arresto cardiaco improvviso è una causa principale di decesso nel mondo che può colpire molte persone, in qualsiasi momento e luogo, solitamente senza sintomi che lo precedono. I fattori di rischio che possono determinare una condizione del genere sono: un precedente infarto, una grave insufficienza coronarica (ischemia), familiarità per arresto cardiaco, difetti cardiaci congeniti, notevole obesità e gravi forme di diabete. Le statistiche ci dicono che oltre oltre il 70 per cento di arresto cardiaco si verifica fuori delle strutture sanitarie e solo una persona su 20 sopravvive. Ogni anno in Europa oltre 700mila persone muoiono in seguito ad un arresto di cuore. In Italia ogni anno sono circa 60mila i casi. Da quanto abbiamo precisato in queste evenienze il tempo è prezioso; è stato calcolato che per ogni minuto di ritardo della defibrillazione le possibilità di sopravvivenza si riducono a circa il 10 per cento, mentre il decesso può sopraggiungere entro 10 minuti. Chi viene colpito da arresto cardiaco perde conoscenza e va in immediato collasso con assenza di polsi periferici e respirazione. L’infartuato ha una manifestazione diversa, e ciò serve per una immediata differenziazione e riconoscimento della sindrome per chi è presente. L’infarto è caratterizzato quasi sempre da forti dolori al petto, a sinistra, talvolta diffusi al braccio sinistro o alla zona gastrica, ma il soggetto resta vigile e presente con la percezione da parte di chi sta vicino dei battiti ai polsi dell’infartuato e di una normale respirazione.
La catena della sopravvivenza
Cosa fare in presenza di una persona che per strada o in altro luogo pubblico ha perdita di conoscenza e va in collasso con la sintomatologia suddescritta? Innanzitutto al riconoscimento precoce di una tale emergenza occorre mettere in moto la cosiddetta “catena della sopravvivenza”, che consiste come prima cosa di sistemare il malcapitato con il corpo in posizione orizzontale, anche a terra dove si trova per consentire un equilibrio vascolare a livello dei centri cerebrali, poi chiamare il Pronto Soccorso (118), iniziare la rianimazione cardiopolmonare per consentire una momentanea attività del cuore e del respiro, e quando è possibile eseguire la defibrillazione precoce in attesa dell’arrivo del personale medico e infermieristico dell’ambulanza. Il defibrillatore è un vero salvavita e attualmente è di facile impiego con il suo automatismo. Dopo l’applicazione delle due placche sul torace del paziente: una sulla zona sottoclavicolare destra ed una seconda sulla zona sottomammellare sinistra, lo stesso defibrillatore attua automaticamente un controllo elettrocardiografico ed in assenza di battito cardiaco invierà una prima scarica elettrica al cuore. Lo strumento accerta l’esito e procederà autonomamente al prosieguo per una eventuale nuova scarica.
Diffondere la conoscenza del soccorso
Si tratta certamente di un intervento in emergenza non facile e che non tutti sono in grado di poter effettuare. Da ciò l’importanza in un mondo moderno di rendere pratici in questo campo un numero sempre maggiore di persone, specie i giovani, anche quelli che non fanno parte del mondo della Sanità, i Vigili del Fuoco, Vigili Urbani, agenti di Polizia, Carabinieri e militari , nonchè volontari e coloro che sono addetti a pubblici servizi (autisti di mezzi pubblici, ferrovieri). Occorre dalle organizzazioni sanitarie locali una sempre maggiore messa in campo di apparecchiature come i defibrillatori semiautomatici. Una dotazione di questi già esiste presso Centri sportivi e alcune Farmacie, ma è opportuno diffonderli ancora.
Non bisogna essere dei medici per salvare una vita umana; bastano cinque minuti con mezzi idonei ed esperienza.