1 – 2 – 3…. 100 – Normalmente discalculiaco!

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Che il linguaggio sia un meccanismo innato, che ereditiamo da milioni di anni, rappresenta un dato acquisito: nasciamo corredati da tutto l’occorrente, non solo per parlare ma anche per scrivere o far calcoli. Chiaramente non possiamo imparare la matematica, l’italiano o le scienze senza un maestro che ci guidi.
Questo presupposto all’apprendimento, inteso in maniera globale, viene da anni teorizzato dalle scienze biologiche mediante lo straordinario meccanismo della plasicità cerebrale. Il cervello umano è in grado di modificare la propria struttura e di modellarsi in rapporto e per effetto degli stimoli che riceve dall’ambiente esterno. Si specializza nelle funzioni che vengono esercitate, mentre riduce con il tempo le altre potenzialità.
Ognuno di noi, ad esempio, sarebbe potuto diventare un campione di atletica o un grande pianista, se ci fosse stata dai primi anni di vita una stimolazione costante in questo senso. Ma a chi è affidato il compito di stimolare ed ampliare le competenze?
Il riconoscimento delle capacità umane che, usando un’espressione di Kant, potremmo far rientrare tra i “diritti innati”, avviene ad opera della società civile in senso ampio. Sin dai primi anni del bambino un ruolo decisivo è chiaramente quello della famiglia, presto in combinazione con la scuola.
La didattica ha un’influenza diretta e decisiva sullo sviluppo delle competenze innate, non tanto per una sorta di “addestramento al sapere”, quanto per la strutturazione del pensiero e “l’apertura al sapere”. è come possedere una scatola di cerini: il fiammifero sopra, dentro o accanto al contenitore non modifica la realtà circostante…non da vita a niente! Solo una combinazione sinergica, quella tra il cerino che sfrega la scatolina, può produrre una realtà nuova: il fuoco.
Nella stessa maniera non basta la semplice esercitazione delle funzioni, come ad esempio la memoria, a determinare la creazione del pensiero. È necessario un sistema didattico che consenta di innescare la sinergia, vale a dire che stimoli al meglio il bambino in tutte le sue innate facoltà.
Garantite a tutti gli essere umani, le capacità plastiche del cervello sono presenti sin dalla nascita, come accade per gli occhi, il naso o la bocca. Esistono tuttavia enormi diversità qualitative in rapporto alle modalità ed alle strategie con le quali è necessario stimolare e potenziare tali funzionalità basali.
Il soggetto “dis” (dislessico, disgrafico, disortografico o discalculiaco) ha in sè questo corredo che obbligatoriamente dovrà essere sfruttato al massimo. É qui che entrano in gioco gli strumenti “diversi” da utilizzare in ambito didattico.
La scuola, soprattutto a livello primario, opera in quella fase della vita definita “finestra evolutiva” in cui la plasticità neurologica è massima e la sensibilità del sistema corticale risponde al meglio.
É indispensabile pertanto che il sistema didattico si attrezzi per bypassare “l’incompatibilità” del bambino allo strumento tradizionale (lettura, scrittura e calcolo) e gli fornisca mezzi nuovi per accedere alla conoscenza.
Prendiamo in esame, ad esempio, la discalculia. Definita dalla legge 170 del 2010, la discalculia rientra tra i disturbi specifici dell’apprendimento ed è caratterizzata da una difficoltà di elaborazione aritmetica. I discalculiaci presentano deficit nel riconoscimento delle quantità e nell’esecuzione del calcolo sia scritto che a mente. Commettono sovente errori in rapporto alla semantica del numero, sostituendo tra loro le cifre (ad esempio confondono il 2 con il 5 e viceversa); anche la sintassi numerica può risultare alterata, avendo difficoltà nell’assegnare un valore significativo alla cifra, in base alla sua collocazione (25 ha valore diverso dalle cifre 2 e 5, lette singolarmente o invertite nel 52).
La scuola deve quindi garantire l’apprendimento, i processi cognitivi e lo sviluppo del pensiero matematico, mediante l’adozione di misure dispensative e compensative (quali la calcolatrice, apparecchiature informatiche, le tabelle o i formulari); fornire cioè lo strumento per “accendere la fiamma”.

 

di Mariarosaria D’Esposito

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