La chitarra spezzata di Jason Becker

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Da quando suo padre, un musicista jazz, gli regalò la sua prima chitarra all’età di 5 anni Jason non se ne separò più: la portava anche a letto!

Le sue prime foto lo ritraggono come un bambino un po’ serioso: capelli a caschetto, sguardo vispo ed impertinente, sempre abbracciato alla sua inseparabile amica a sei corde.

Un enfant prodige della musica che “volava” sul pentagramma, con virtuosismi ispirati al Maestro Niccolò Paganini. A 16 anni superò in bravura i suoi stessi insegnanti. Bastarono pochi accordi, eseguiti sul palco di un’aula scolastica e testimoniati da uno dei suoi più famosi e cliccati video, a rivelare al pubblico l’enorme talento. La sua particolare tecnica esecutiva, precisa, veloce ed innovativa, fece di lui un vero e proprio genio della musica heavy metal. Inizia per Jason un periodo discografico esplosivo: all’età di 17 anni incontra il chitarrista Marty Friedman e con lui produce e pubblica due album grandiosi, “Speed Metal Symphony” e “Go off!”. Nell’88 e successivamente nel ’95 le prime incisioni come solista, “Perpetual Burn” e “Prospective”, dimostrano ancora una volta il suo livello chitarristico eccezionale e l’assoluta perfezione delle sue esecuzioni, con tempi musicali di rapidità sovrumana. Stava nascendo una rock star: all’età  di 20’anni contattato da Lee Roth, per sostituire Steve Vai nei Van Halen, entra a far parte della band e si prepara per un tour mondiale.

Poi la tragedia: durante le prove con il gruppo, Jason sente in maniera sempre più frequente debolezza diffusa e fatica nei movimenti. Visite specialistiche ed esami clinici non sembrano riuscire a spiegare questa crescente stanchezza e ad arrivare alla formulazione di una diagnosi. Claudicante, con il bastone di legno e le mani tremanti, sempre meno forti, Jason continua a frequentare assiduamente la sala d’incisione ed non si assenta mai alle prove con il suo gruppo. Ma suonare, muovere le dita sulle corde, è sempre più difficile e faticoso. All’età di soli 22 anni la diagnosi: SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica), una terribile malattia neurologica che lo porterà, di lì a poco, alla totale paralisi muscolare. I medici gli danno al massimo ancora 3 anni di vita.

Jason Becker oggi riesce a muovere solo gli occhi, impossibilitato a respirare autonomamente ed a parlare. Tuttavia comunica grazie ad un sistema, messo a punto dal padre, che sfrutta unicamente i movimenti oculari. Jason non solo ci trasporta nella sua ancora fervida emotività, ma ancora compone musica, non toccando più le corde della sua chitarra, ma di certo l’animo di chi l’ascolta.

Jason è ancora vivo e combatte contro la sua malattia. La copertina dell’edizione rivisitata e più recente dell’album “Prospective” ritrae una chitarra spezzata, distrutta, senza corde, parte di uno scenario desolato e decadente. La frase “It has crippled my body and speech, but not my mind” (“Ha paralizzato il mio corpo e il linguaggio, ma non la mia mente”), apposta sull’album, apre una crepa sulla scorza superficiale secca ed arida e ci porta in un mondo interiore ancora vivo e pulsante.

La SLA è un “mostro” che divora, colpisce ogni muscolo del corpo e pian piano toglie il respiro. Il senso d’impotenza e l’incombenza della morte hanno scaraventato questo giovane e talentuoso chitarrista in una lotta per la vita. La sua nuova dimensione ed una diversa “Prospective” inducono a riflessioni aristiche, ma soprattutto umane in rapporto ad un più reale significato dell’esistenza.

 

di Mariarosaria D’Esposito

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