Maschi e femmine: dai cromosomi al cuore

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Il corredo genetico umano

Ogni specie presenta un suo particolare numero di cromosomi, nella specie umana questo è 46. Di questi, 44 sono formati da due coppie di 22 cromosomi, poiché di ognuno esistono due copie uguali: cromosomi omologhi, cioè che portano la stessa sequenza di geni, provenienti uno dal padre ed uno dalla madre. Solo nel maschio due cromosomi non sono uguali, e sono i cromosomi sessuali, X e Y, mentre nella femmina sono omologhi anche i cromosomi sessuali, X e X. Mentre tutte le cellule del corpo hanno un numero doppio di cromosomi, i gameti, cioè lo spermatozoo e l’uovo, hanno una sola copia di ogni cromosoma, che trasmetteranno all’uovo fecondato (zigote). Il nuovo essere dalla madre riceverà sempre il cromosoma X, dal padre quello X, e sarà femmina, o Y, e sarà maschio. Dunque, ciascun essere umano, maschio o femmina, è dotato nel suo corredo genetico di 23 paia di cromosomi (per ciascun paio, uno di derivazione paterna e uno materna): 22 paia di autosomi, che sono gli stessi sia negli uomini che nelle donne, ed un paio dei cromosomi sessuali che determinano il genere di una persona: un cromosoma X ed uno Y nel maschio, due X nella femmina. Solo i gameti contengono una sola copia di ogni coppia, perché devono trasmetterla alla prole.

I cromosomi X e Y

Mentre tutte le coppie di autosomi hanno gli stessi geni, di cui quindi ogni individuo possiede due copie, una su ogni cromosoma, il cromosoma X e quello Y sono profondamente diversi: la maggior parte dei geni del cromosoma X non ha infatti corrispondenza su Y, caratterizzato da dimensioni estremamente più ridotte (è approssimativamente lungo la terza parte del cromosoma X) e da geni che a loro volta non hanno corrispondenza su X. Infatti il cromosoma Y contiene solo 90 geni contro i circa 1500 del cromosoma X, e tutti concentrati nella MSY, la regione maschio-specifica dell’Y, non corrispondente a nessuna regione del cromosoma X. È da notare però che l’uomo possiede più geni della donna. Infatti, sebbene quest’ultima presenti due copie del cromosoma X, ed esso abbia un contenuto genico maggiore dell’Y, la donna non possiede molti geni localizzati sull’Y, che sono appunto maschio-specifici, mentre l’uomo possiede tutti i geni dell’X, sul suo cromosoma X ricevuto dalla madre. Attraverso il cromosoma Y, il padre passa al figlio i tratti “olandrici”, cioè espressi soltanto nei maschi. Questa differenza tra i due cromosomi sessuali è frutto di un lungo processo evolutivo, in seguito al quale Y ha perso il 90 per cento dei geni che originariamente aveva in comune con X. Il processo è iniziato circa 200 milioni di anni fa, quando i mammiferi erano apparsi da poco e le prime versioni dei cromosomi sessuali X e Y erano copie identiche l’uno dell’altro. Il gene più antico e “prezioso” (per la sussistenza stessa del genere maschile) del cromosoma Y è SRY (Regione determinante il Sesso sul cromosoma Y), responsabile del differenziamento dell’embrione in senso maschile. Infatti tale gene agisce da “interruttore”: se è presente e attivo l’embrione svilupperà i testicoli, se invece è assente o inattivo le gonadi diventeranno ovai. Da questo si deduce che senza l’intervento di SRY ogni individuo sarebbe geneticamente programmato a differenziarsi in senso femminile. Un’altra caratteristica peculiare del cromosoma Y è la sua limitata variabilità, sia rispetto al cromosoma X sia rispetto agli autosomi: se si confrontano gli Y di diversi individui maschili in tutto il mondo, si nota che sono tutti molto simili tra loro. Poiché le donne possiedono due copie di cromosoma X, una ricevuta dall’ovulo e l’altra dallo spermatozoo, si pensava uno dei due cromosomi X diventasse inattivo, per “compensazione” dell’iperdosaggio genico.
Di recente si è invece appurato che soltanto il 75% dei geni della seconda copia del cromosoma X rimane inattivo. La conseguenza di ciò è una maggiore variabilità genetica nel sesso femminile.

Verso l’estinzione dei maschi?

È stato osservato che il meccanismo che ha condotto l’Y a divenire così piccolo è frutto della sua vulnerabilità. Infatti la regione mediana MSY, quella specifica del maschio, non potendo appaiarsi con un’omologa regione sul cromosoma X, non può usufruire del meccanismo di riparazione di danni ai geni che si verifica normalmente tra cromosomi omologhi, rischiando di perderli nel tempo.
L’Y ancestrale conteneva infatti 1500 geni come quello X, che si sono ridotti all’attuale novantina attraverso progressive perdite di geni (delezioni) che non potendo essere recuperate dal cromosoma X , che non aveva quei geni, perché erano maschio-specifici, hanno portato al suo progressivo accorciamento, tant’è che oggi il cromosoma Y umano conserva solo 19 degli oltre 600 geni che condivideva una volta con il suo partner ancestrale.
Si era ipotizzato quindi che il cromosoma Y fosse destinato a proseguire nel suo decadimento fino ad estinguersi del tutto,entro 5 milioni di anni. La natura ha posto tuttavia un rimedio a questo processo inesorabile che porterebbe all’estinzione della specie. Nel 2003, i ricercatori del Massachusetts Institute of Technology hanno scoperto un processo che rallenta il ritmo di accorciamento e degenerazione del cromosoma Y: l’Y umano è in grado di ricombinare con se stesso attraverso le proprie sequenze. Questo tipo di ricombinazione è chiamato “conversione genica” o “perdita ricombinazionale dell’eterozigosi”.
La regione MSY è infatti caratterizzata da un’enorme quantità di sequenze ripetute. Tali ripetizioni non sono testa-coda ma costituiscono dei palindromi, ovvero due ripetizioni invertite separate da un breve spaziatore. Dunque i geni maschio-specifici sono in copie multiple sull’Y. Pertanto queste sequenze speculari della MSY riparano le perdite e gli errori effettuando crossing over intracromosomico, che compensa la mancata ricombinazione con il cromosoma X. Praticamente, il cromosoma Y ha imparato “a fare da sé”. In base a tale studio si è giunti alla conclusione che anche agli inizi il cromosoma Y stava subendo una rapida degenerazione e perdita dei suoi geni, in seguito però si è stabilizzato.

Dalla genetica all’anima: le differenze tra uomo e donna

Il dibattito sulle differenze, oltre che genetiche ed anatomo-fisiologiche, anche psicologiche tra uomo e donna non è mai stato risolto definitivamente: la diversità tra i sessi è biologica, fisiologica, genetica, o frutto dei condizionamenti sociali e culturali? Ovvio, non parliamo delle capacità cognitive, l’intelligenza, ma degli aspetti della personalità. Darwin sosteneva che uomini e donne sono sottoposti a pressioni evolutive diverse e a separare i due sessi anche sotto il profilo della personalità c’è un solco profondo. Il libro di John Gray del 1992 “Gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere”, 30 milioni di copie vendute e traduzionein 40 lingue, e quello di Deborah Tannen “Perché non mi capisci?”, secondo cui i due sessi hanno modi di parlare completamente diversi fra loro, abbracciano in pieno questa tesi. Gli studi scientifici sulla personalità di uomini e donne tuttavia sono contrastanti. Mentre le ricerche della studiosa Janet Shibley Hyde dell’Università del Wisconsin nel 2005 hanno profondamente smussato le differenze di personalità tra i generi, riportandole come poco significative, Marco Del Giudice, psicologo dell’Università di Torino, in una ricerca condotta con due colleghi della Manchester Business School ha trovato invece importanti differenze: le donne sono superiori in sensibilità, emotività e apprensione, mentre gli uomini si distinguono per equilibrio emotivo, coscienziosità e tendenza alla dominanza. Perfezionismo, vitalità e tendenza all’astrazione vedono invece la quasi totale parità fra i sessi. Secondo Baron-Cohen (2004), le differenze fra uomo e donna risiederebbero proprio nel cervello: il cervello maschile è più propenso alla sistematizzazione, il femminile all’empatia. La “sistematizzazione” è la tendenza ad analizzare, vagliare ed elaborare sistemi, l’empatia la capacità di riconoscere i pensieri e le emozioni degli altri e di reagire con sentimenti consoni. La disuguaglianza tra quoziente di empatia e quoziente di sistematizzazione nei due sessi si nota fin da bambini, cioè nel periodo in cui i comportamenti non risentono ancora molto dell’ambiente: i maschietti prediligono giochi di strategia e tecnica, nei quali, sovente, entrano in competizione, manifestando atteggiamenti aggressivi per primeggiare sui coetanei, mentre le femminucce preferiscono giochi in cui è necessario un alto grado di cooperazione reciproca, ed instaurano, precocemente, rapporti di amicizia, basati sulla solidarietà e la comunicazione. È stato teorizzato che ciò dipenda dall’azione del testosterone, che potenzierebbe le capacità dell’emisfero celebrale destro, connesso con l’abilità visivo – spaziale, e da ciò deriverebbe la propensione maschile alla sistematizzazione, mentre nelle donne prevarrebbe l’emisfero celebrale sinistro, deputato alla comprensione e alla comunicazione, elementi dell’empatia.
In conclusione, possiamo dire che, genericamente, esistono delle differenze di massima anche psicologiche tra i due sessi. Tuttavia, dato che ogni persona è un unicum, non solo in senso astratto e metafisico, ma anche a livello biologico, perché espressione di un proprio unico ed esclusivo “codice della vita”, garante di individualità, il suo DNA, è errato dare per scontata l’esistenza di caratteristiche psico-fisiche propriamente femminili, ed altre tipicamente maschili, perchè qualsiasi procedura di omologazione, incasellamento, semplificazione e generalizzazione si dimostra artificiosa di fronte all’individuo specifico e speciale che si ha di fronte. Non esiste un uomo-tipo o una donna-tipo e, di volta in volta, il connubio fra natura e cultura plasma un io, unico rispetto ai membri del sesso opposto quanto a quelli del proprio.

 

di Carlo Alfaro

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