Bambini spettatori e vittime quando la donna vittima di violenza è una mamma

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Secondo la definizione del Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia, per “violenza assistita” si intende la situazione in cui il minore fa esperienza di qualsiasi forma di maltrattamento, compiuto attraverso atti di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica, su figure di riferimento o su altre figure affettivamente significative, comprese le violenze messe in atto da minori su altri minori e/o su altri membri della famiglia, e gli abbandoni e i maltrattamenti ai danni degli animali domestici.
Il bambino può fare esperienza di tali atti direttamente (quando avvengono nel suo campo percettivo), indirettamente (quando il minore ne è a conoscenza), e/o percependone gli effetti. Il caso più comune (e più grave) è quello in cui il bambino assiste ad una violenza fisica e sessuale commessa da un genitore contro l’altro (violenza domestica) o ai litigi dei genitori che usano tra loro una grave violenza verbale nell’ambito di una comunicazione a forte connotazione aggressiva.
Nell’ambito della violenza domestica, i figli sono sempre coinvolti, direttamente perché sono vittime essi stessi delle violenza, e indirettamente perché assistono le violenza del padre contro la madre.

I dati sul fenomeno

Il rapporto dell’organizzazione non governativa Save the Children e del Garante dell’Infanzia della Regione Lazio, presentato in occasione del convegno “Spettatori e Vittime: i bambini e le bambine che assistono a un atto di violenza lo subiscono”, denuncia che almeno 400.000 minori in Italia ogni anno vedono o percepiscono la violenza sulle loro madri. Nel mondo, i casi variano dai 3,3 milioni ai 10 milioni di bambini per anno, nei vari studi.
Nella casistiche, la violenza domestica è diffusa ovunque, senza limiti di età, situazione socioeconomica, religione, razza, educazione e cultura.

Le conseguenze sui minori.

Molti studi hanno documentato le gravi conseguenze delle violenze e degli abusi perpetrati sui minori. Poco si conosce invece del maltrattamento assistito, connesso alla violenza sulle madri, ma esso ha gli stessi effetti sulla salute psico-fisica dei minori del maltrattamento diretto: esporre il bambino alla visione o alla percezione di un maltrattamento (fisico, verbale o psicologico) sulla madre equivale sottoporlo ad un maltrattamento diretto.
Gli effetti negativi tendono a persistere nel tempo anche molti anni dopo l’esposizione alla violenza. Gli studi hanno descritto le seguenti situazioni problematiche nei bambini vittime della “violenza assistita”:
1) Perdita della relazione di attaccamento con le figure genitoriali, fondante per l’equilibrio psico-affettivo dell’individuo. Si è trovato che i bambini esposti al conflitto tra i genitori perdono la relazione di “attaccamento sicuro” con le figure di accudimento, che rappresenta la base sicura per la loro crescita emotiva. La relazione di attaccamento è quella che ci consente di diventare “resiliente”, cioè capaci di resistere a situazioni problematiche o traumatiche senza soccombere, perché sorretti da una forza interiore che ci mantiene in equilibrio e fa reagire in modo positivo ad eventi traumatici.
La resilienza ha la sua radice nei “modelli operativi interni” che sono gli schemi mentali entro cui far rientrare tutte le esperienze vissute e che il bambino si costruisce nei primi due o tre anni di vita, attraverso le relazioni interpersonali con le persone che si prendono cura di lui (in genere la madre). In base alla risposta della madre alle richieste del bambino quando sente paura, dolore, fame, freddo, il piccolo costruisce modelli di relazioni significative che lo accompagneranno per tutta la vita.
Questo modello di reazione tende a permanere e a rinforzarsi nel tempo e a rendere il bambino, e poi l’adulto, corazzato e resistente all’impatto turbativo di eventi stressanti, non evitabili nella vita, con la capacità di elaborare e ammortizzare le esperienze negative e dolorose. Se un’esperienza negativa o traumatica avviene in un soggetto che ha avuto la possibilità di strutturare una attaccamento sicuro, il suo impatto sarà meno grave e la possibilità di ripararla decisamente superiore a quella di un soggetto che non ha avuto un attaccamento sicuro.
2) Perdita di ruolo materno. Spesso la madre vittima di violenza esercita violenza fisica e trascuratezza nei confronti dei figli, ha una ridotta risposta emozionale ed attenzione ai loro bisogni. Il conflitto può diventare il centro dei pensieri della madre, ed il bambino diventare in qualche modo “invisibile”.
3) Vissuti di colpa nel bambino. I bambini, in virtù del pensiero egocentrico proprio dell’età, possono facilmente equivocare sulle cause degli scontri fra i genitori, attribuendole al proprio cattivo comportamento, il che induce in loro sentimenti di fallimento, colpa, inadeguatezza, rabbia, impotenza, vergogna, con conseguente perdita di autostima.
4) Comportamenti “adultizzati”. Alcuni bambini possono acquisire comportamenti di accudimento e protezione verso la madre, mettendo in atto numerose strategie di tutela, come andare a controllare chi suona alla porta o rispondere al telefono per filtrare le telefonate del padre. Talvolta il bambino ha continui pensieri su come prevenire la violenza o tutelare e mantenere integre una o entrambe le figure genitoriali, che impegnano le sue operazioni mentali distogliendolo dal resto, o può addirittura evitare di uscire di casa perché la madre potrebbe essere picchiata in sua assenza, sviluppando assenteismo scolastico e isolamento sociale.
5) Sentimenti ambivalenti. Spesso i figli in situazioni di conflitto familiare imparano ad assumere comportamenti compiacenti e a dire bugie, dando ragione all’uno o all’altro genitore a seconda delle circostanze, o del genitore con cui si trovano. A volte invece cercano disperatamente di trovare spiegazioni alternative per salvare l’immagine di una o entrambe le figure genitoriali, dando ragione ora all’uno ora all’altro in modo del tutto scollegato dalla realtà dei fatti. Ciò crea confusione nello sviluppo della loro identità e personalità. Il più delle volte non si confidano con nessuno, sviluppando due vite parallele, una normalità pubblica e una crisi entro le mura domestiche, che ha esiti negativi sul loro equilibrio interiore.
6) Disturbo post-traumatico da stress, con flashback, incubi, insonnia, preoccupazione costante di un possibile pericolo, ansia e angoscia.
7) Disturbi emotivi, come sensi di colpa e vergogna, esplosioni emotive improvvise (pianto, crisi di rabbia, mutismo), paura.
8) Danno dello sviluppo delle strutture e funzioni del cervello, con impatto sullo sviluppo psico-motorio: capacità empatiche ridotte, ridotte capacità cognitive, ridotte abilità linguistiche, difficoltà dell’apprendimento scolastico.
9) Acquisizione di comportamenti violenti. L’esposizione alla violenza può desensibilizzare i bambini e gli adolescenti verso il comportamento aggressivo, che diventa “norma”, per cui i bambini possono sviluppare modelli improntati all’aggressività, che possono riprodurre nell’età adulta nei confronti delle loro partner, e le bambine modelli di dipendenza, assoggettamento e tolleranza alla violenza.
10) Rischio di abuso fisico. Nelle famiglie in cui c’è violenza del padre sulla madre c’è anche abuso diretto sui bambini, in una percentuale che va dal 30% al 60%.
11) Maggior incidenza di malattie (respiratorie, epatiche, cardiache, diabete); obesità; dolori cronici (cefalea, dolori addominali), disturbi del comportamento alimentare; problemi comportamentali, come depressione, ansia, bullismo, dipendenza da fumo, alcol, sostanze stupefacenti, fuga da casa, gravidanze precoci, aborti, suicidio, prostituzione giovanile e stupro.

Valutazione del maltrattamento assistito nel pronto soccorso pediatrico.

Si svolge in tre fasi:
1)Raccolta del riferito della madre, sia per quanto concerne la situazione del minore nell’episodio di violenza direttamente patito da lei (dove si trovava, il ruolo durante l’aggressione, di difesa, attacco, blocco, nascondimento, fuga), le reazioni emotive immediate (paura, pianto, grida, tremori ecc.) e quelle successive nei giorni seguenti, sia lo stato di salute psico-fisica del figlio negli ultimi tempi, indagando su: dolori ricorrenti (mal di testa, mal di stomaco), ansia di separazione, disturbi del sonno (paura di addormentarsi, incubi notturni), comportamento aggressivo e sentimenti di rabbia, ansia su possibili pericoli, apparente perdita di competenze precedentemente apprese, ritiro sociale, perdita di autostima, mancanza di interesse o mancanza di emozioni (distacco emotivo), eccessiva preoccupazione circa la sicurezza dei propri cari, difficoltà di scegliere, difficoltà al completamento di un compito o attività, iperattività e deficit di concentrazione.
2)Colloquio con il minore. Si chiede al bambino: di descrivere quello che ha visto; di descrivere cosa ha provato in quel momento; di dire cosa prova ora e cosa desidera per sé in rapporto alle figure di riferimento (padre e madre). Sono importanti in questa fase l’ascolto rigoroso, l’osservazione attenta, la valutazione delle capacità del minore a rappresentare la realtà osservata fuori di lui, l’esclusione di domande suggestive o prefiguranti una risposta obbligata.
3) Valutazione fisica e psicologica del bambino.

Cosa fare per i bambini vittima di violenza domestica.

Purtroppo, In Italia ci troviamo di fronte ad un vuoto legislativo: manca una normativa che faccia esplicito riferimento all’esposizione dei bambini alla violenza nelle sue varie forme come reato, e che di conseguenza affronti con linee guida e standard uniformi l’organizzazione dei servizi su tutto il territorio nazionale. I punti cruciali dell’intervento sono:
1) Individuazione precoce. è di enorme importanza segnalare i casi di violenza accertata o sospetta in modo tempestivo, al fine di consentire l’immediato avvio delle indagini e degli accertamenti a tutela dei minori e delle loro madri.
2)Creare una rete. I servizi e le competenze istituzionali che intervengono sui casi di violenza domestica sono tre, e tra loro necessariamente intrecciati: le forze dell’Ordine, le istituzioni della giustizia, i servizi sociali, sanitari e del volontariato. L’efficacia dell’intervento dipende dalla capacità interattiva e dalle sinergie tra tutti gli attori, attraverso la costituzione di reti tra i diversi soggetti coinvolti. Negli ultimi due anni diversi sono gli strumenti di intesa sottoscritti da molteplici soggetti, per condividere pratiche e procedure di intervento.
3)Omogeneizzare gli interventi. Serve una omogeneizzazione dell’approccio alla prevenzione e al contrasto della violenza sulle donne e sui figli minorenni tra i diversi territori e servizi.
4)supporto dopo la violenza. Tra i bisogni principali della madre e del bambino in uscita da una storia di violenza familiare, ci sono quelli legati al reinserimento ed all’inclusione sociale. Ciò significa poter contare su sostegni quali la casa, un lavoro per la madre, un aiuto sul piano educativo e di socializzazione-aggregazione per il bambino.

 

di Carlo Alfaro

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