Il riso abbonda sulla bocca dei golosi!

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“ O’ riso scaldato era na zoza
Fatt’a sartù, è tutta n’ata cosa
Ma quale pizz’e riso, qua timballo!
Stu sartù è nu miracolo, è nu sballo.
Ueuè, t’o giuro ‘ncopp’a a chi vuò tu:
è chiù meglio d’a pasta c’o rraù!”.

La gente di Napoli è incline al riso! Se pensiamo al termine riso inteso come risata questa affermazione è assolutamente veritiera! Se invece la parola riso la leggiamo nel suo significato di alimento, dobbiamo riconoscere che nei suoi confronti l’atteggiamento dei napoletani è stato sempre ambivalente.
La prima comparsa del riso sulle tavole dei napoletani, avvenne nel XIV secolo, in seguito agli scambi commerciali con la Spagna, nazione di provenienza della dinastia degli Aragonesi, gli allora signori del regno di Napoli.
All’inizio però, questo cereale non riscosse grande successo, del resto a Napoli già trionfava l’uso della pasta che, con le verdure, la faceva da padrona nell’alimentazione quotidiana (un tempo, prima che mangiamaccheroni, i napoletani furono detti mangiafoglie).
Il riso inoltre era considerato un rimedio medico per la cura di malattie gastriche o intestinali tanto da essere chiamato “sciacquapanza” e per lo più veniva preparato in bianco, destinato a chi stava davvero male, nei lazzaretti o nei primi “spitali”.
Solo a partire dal ‘700 il riso iniziò ad essere apprezzato. Infatti, quando a Napoli governavano i Borboni delle Due Sicilie, ramo della dinastia d’ Oltrealpe, vennero chiamati a lavorare nelle cucine di corte e di molte famiglie aristocratiche napoletane, alcuni cuochi francesi, nominati Monzù (dal francese Monsieur).
Cuochi sopraffini, introdussero il riso a corte utilizzando una scenografia della tavola di derivazione rinascimentale allora molto in voga tra signori e reali. Si trattava di un grande centrotavola chiamato Surtout: un pezzo monumentale di porcellana con molti bracci per poggiare vassoi e piatti. Il braccio più importante e centrale era il Surtout, al di sopra di tutto.
Pian piano il riso, a Napoli, da cibo triste iniziò a diventare allegro e saporito. I monzù trovarono ingredienti notevoli per prepararlo con tanti colori, dalle cervellatine di maiale ai piselli della campania Felix, olio di oliva, sopraffini latticini, e soprattutto tanto ragù fatto con i pomodori migliori del mondo.
Il timballo di riso, sempre più spesso, cominciò a sostituire il più naturale timballo di pasta sul Surtout.
E’ proprio da questa ricetta e dal termine francese “sur-tout” cioè “sta sopra a tutto” che deriva il nome di questo piatto tipico della tradizione napoletana.
Con il tempo poi dalla tavola dei ricchi il sartù di riso passò via via anche a quella dei poveri, soprattutto nei giorni di gran festa, quando c’era più tempo per dedicarsi alla sua lunga e impegnativa preparazione.

Eccovi la ricetta del Sartù di Riso di Imma Gargiulo

di Anna Maione

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