Dalla civiltà del rispetto alla prevaricazione e all’arroganza

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Recentemente ha fatto sorpresa e scalpore l’intervento di Noam Chomsky, uno degli ultimi “Maître à penser”, sulle prospettive della politica internazionale e italiana in particolare. L’illustre intellettuale, infatti, ha sostenuto che i sistemi democratici, sia quelli europei che quello statunitense, sono in affanno e si avviano verso forme di governo oligarchici. Il quadro fatto per l’Italia è tra i più foschi e preoccupanti, sia per l’assenza, da sempre, di una democrazia compiuta, sia perché avremmo già sperimentato (sia pure senza la consapevolezza necessaria) negli ultimi vent’anni una forma di oligarchia, sia perchè da essa sono discesi una confusione e un caos politico che, secondo Chomsky, metterebbero capo alla dittatura.
C’è da augurarsi che le sue riflessioni siano errate e che si riesca ancora a salvare la democrazia e la libertà, valori irrinunciabili i quali, una volta perduti, richiederebbero immensi sacrifici e, talora, immani tragedie, prima di essere riconquistati. E allora verrebbe da chiedersi da quali premesse sia partito il filosofo per giungere a quelle conclusioni. Non è facile saperlo. Ma, dall’osservazione quotidiana, si potrebbe tentare di risalire alle ragioni del suo pessimismo. Una cosa è certa, infatti: sono scomparsi del tutto, o quasi, i comportamenti virtuosi e compatibili con la vita democratica. La prepotenza e l’arroganza hanno cancellato il rispetto, la tolleranza, la comprensione, l’attenzione all’altro, diventato per lo più un fantoccio o una mera illusione dinanzi a menti prevaricatrici. E non c’è bisogno di grandi analisi per capire che in Italia il tessuto democratico è stato lacerato e si mantiene a stento con le numerose toppe con cui si cerca di rabberciarlo. Sarebbe sufficiente, durante i periodi in cui si è costretti ad andare in macchina, trasformarsi da guidatori in osservatori. Si capirebbe che gli italiani non amano le regole, gli stanno strette come le cinture di sicurezza e, fino a qualche anno fa, il casco per abituarsi ai quali si è dovuto ricorrere alle multe. Per non parlare del linguaggio e della gestualità, che scurrili, sconci e volgari quanto mai, si sono attestati lungo tutto lo stivale. La pessima abitudine, che il più delle volte maschera mancanza di intelligenza, di argomentazioni e di vuoto culturale di fronte all’interlocutore, è invalsa a partire dai politici, i quali, nonostante le critiche che ricevono quotidianamente, rimangono i punti di riferimento per larghi strati della società in tutte le sue componenti. Se poi si passa dai comportamenti della gente a quelli dei politici, qui davvero c’è da preoccuparsi. Il rispetto delle regole, che è la sostanza stessa della democrazia, è visto con fastidio in quasi tutte le formazioni politiche, le quali, oltretutto, fanno a gara a chi più “se ne frega” dei verdetti popolari espressi nelle modalità che conosciamo, benché alcune (sondagi, voto on line, primarie) non siano ancora legittimate da leggi generali, ma riconosciute solo dai partiti. Forse il puntum dolens, come direbbero i latini, è proprio qui, nella invadenza dei partiti nella vita del paese, non prevista dalla Costituzione. Essi, i partiti, non solo hanno “occupato” tutti gli spazi politici, ma si sono spartiti tutto e di tutto hanno approfittato per i loro interessi. Lo sperpero ha prodotto nelle finanze quelle voragini che si è costretti a colmare con tasse, balzelli, imposte, pedaggi e quant’altro, riducendo allo stremo soprattutto le fasce più deboli e indifese. Di questo passo, se non si ricorre a delle correzioni sostanziali, che non possono tuttavia essere gli urli, gli strepiti e la sguaiataggine delle piazze, il rischio per la democrazia di cui parla Noam Chomsky sarebbe reale.

 

di Domenico Casa

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