Grace di Monaco e la fabbrica dei miti

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È in corso nelle sale cinematografiche la proiezione del film Grace di Monaco, per la regia di Dahan. Protagonista NICOLE KIDMAN nel ruolo della principessa di Monaco. Il film, destinato all’apertura del FESTIVAL di CANNES, prima ancora dell’uscita in varie nazioni europee, ha suscitato un’ondata di pareri contrastanti. Indubbiuamente il contrasto è fonte di dialogo, per cui c’è da augurarsi, che nelle modalità dettate dal senso di civiltà, non venga mai meno. Indubbiamente il film presenta pregi e difetti. Questi ultimi attengono alla difficoltà di verifica della documentazione circa la vita della principessa, benché il contesto storico travagliato degli anni Sessanta, con tutti i suoi protagonisti, noti e meno noti, sia abbastanza sicuro.
L’aspetto interessante appare, invece, il tentativo di “mitizzare” il personaggio, iniziato subito dopo la tragica morte della proncipessa.
Mitizzazione che successivamente sarà elaborata anche per DIANA d’INGHILTERRA. La mitizzazione è per lo più un’enfiatura, un ingigantimento di elementi (talvolta molto esigui) del reale, di una storia, di un personaggio.
Ci si chiede, pertanto, se il lavoro di “divinizzazione” sia necessario e da quale esigenza esso nasca. La sua necessità è scritta nella storia. Non vi è popolo, civiltà, piccola o grande comunità che non abbia elaborato e costruito “miti”.
L’Asia, l’Europa, l’America sono state e sono fucine continue di miti – miti religiosi e miti laici. Tra esse spiccano l’Egitto e la Grecia la quale, con le sue eccezionali capacità mitografiche, ha creato un mondo di dei e di eroi i quali, con il loro fascino indiscusso, ancora resistono al tempo. Ha continuato la Chiesa Cattolica con la sua straordinaria e continua produzione di santi/e e di madonne che spesso ricalcano leggende e favole greche. Non è difficile stabilire un rapporto tra Dioniso e Cristo, tra Iside, Demetra e Maria. In epoca contemporanea la mitizzazione riguarda per lo più personaggi del mondo dello spettacolo, della moda, dello sport e dell’arte.
Nella sua opera “L’essenza della religione”, il filosofo tedesco Feuerbach scriveva: “Il tuo Dio è tale qual è il tuo cuore. Quali i desideri degli uomini, tali i loro dei.” Intendeva dire che la divinità non è altro che la proiezione illusoria in un essere trascendente, di bisogni e qualità umane. Il più delle volte noi esseri umani oltre ad essere consapevoli dei nostri limiti oggettivi (nascita, morte, malattia, vecchiaia) abiamo una percezione di noi stessi come “povertà”, “mancanza”, “incompiutezza”. Si tratta indubbiamente di realtà concrete.
Di fronte ad esse, anziché cercare dentro di noi le capacità che mettono in grado di colmare vuoti e progredire verso stadi graduali di perfezione, creiamo personaggi immaginati già perfetti.
Ma essi non sono diversi da noi. Hanno soltanto fatto un buon uso di qualche capacità innata.
“La nostra vita è il tesoro supremo, eppure troppo spesso cerchiamo i tesori al di fuori di noi. Perché? Perché la nostra fede negli esseri umani è debole e non crediamo in noi stessi.”
È Daisaku Ikeda, grande maestro buddista a esprimere questi concetti e ad invitare a non cercare fuori di noi ciò di cui abbiamo bisogno. Tale ricerca, prosegue Ikeda, “è fonte di notevole confusione”, ma anche di tutti i disagi, le sofferenze e, Talvolta, di malattia.
Pertanto, sembra concludere, ognuno di voi sia mito di se stesso.

“Credete nella vostra vita. È una fonte di potere insuperabile.”

 

di Domenico Casa

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