Possiamo ancora definirci Illuministi?

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“L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di esso non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro… Senonché a questo Illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, cioè quella di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi.”
Questa definizione, ormai famosa, di Illuminismo, contenuta nella “Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo” di Kant, potrebbe costituire già una prima risposta all’interrogativo. Ma, nella sua immediatezza, sarebbe una risposta negativa: “No, non possiamo più dirci Illuministi“, visto che gli uomini si sono abbarbicati a una molteplicità di dipendenze che a tutto fanno pensare, tranne che a un uomo maturo.
Un uomo cioè, che per agire, la mattina, appena alzato, non deve scrutare gli astri per sapere se il giorno sarà fausto o infausto; non affida il suo agire alle previsioni del tempo le quali hanno sostituito, insieme agli oroscopi, l’antica cultura oracolare, che, tra l’altro, era anche molto più interessante e poetica; non (di)pende dalla televisione che lo ottenebra. Al tempo di Kant, nella seconda metà del Settecento, vi erano due poteri forti a tenere gli uomini in uno stato di dipendenza: lo Stato e la Chiesa. E tuttavia, il filosofo, non attribuisce ad essi la responsabilità della loro minorità, se non in seconda istanza, ovvero come conseguenza “dell’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di altro.” Se quei poteri forti – e in genere tutti i poteri che hanno in pugno gli altri uomini (anche le persone più vicine potrebbero rappresentarli) – riescono a tenere gli esseri umani in catene per far sì che, supponendo una loro inferiorità umana ed esistenziale, si comportino come bambini da tenere per mano e guidare, ciò dipende solo dagli stessi uomini. I quali, talvolta o spesso, trovano utile e comodo che altri si sostituiscano ad essi e se ne occupino, proprio come i bambini, i quali, non ancora abituati all’uso delle gambe, amano lasciarsi trasportare dai genitori o dai loro sostituti.
Ora, di gente non “cresciuta”, il mondo è pieno. Basta saper vedere, e l’immagine che ne verrebbe fuori sarebbe di un fallimento dell’Illuminismo. Tuttavia, parallelo a un mondo di “minori”, c’è anche la realtà, magari meno evidente, di coloro i quali hanno trasformato la loro vita in un cammino verso la libertà. Si trovano in tutti i settori della società civile, nella politica (sempre di meno), nel mondo delle scienze e della cultura, nelle comunità religiose, benché, durante gli anni trascorsi, da alcune di esse si è tuonato contro l’Illuminismo ritenuto, per antico, infondato e ingiustificato pregiudizio, responsabile dei mali degli ultimi secoli.
E la ragione di tale avversione è presto detta.
Figlia dell’Illuminismo francese fu la rivoluzione di un gruppo di uomini (una classe, la borghesia) i quali, stanchi di essere sottomessi, sfruttati e spolpati dallo Stato e dalla Chiesa, dissero basta e decisero di uscire dallo stato di minorità, affermando con forza quei principi su cui si sono costituite le nostre comunità: libertà, fraternità, uguaglianza.
Principi contro cui lottarono le forze coalizzate del potere civile e religioso, ma che, se radicati interiormente come radici profonde della propria mente e della propria anima, non possono non produrre alberi di libertà. Ossia quella maturità e indipendenza dell’uomo per cui soltanto egli può dirsi uomo e non “una tra le spighe del grido collettivo che il sole indora”, per dirla con Edmond Jabès (Il libro delle interrogazioni), pronta per essere passata per la falce.

 

di Domenico Casa

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