L’inerzia e la piramide – Percorso di Riabilitazione Neurologica

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Quando conosco un nuovo paziente che necessita del mio aiuto in termini di riabilitazione neurologica, mi prendo sempre del tempo, di solito la prima seduta, per fargli raccontare “quello che ha passato”, non per curiosità morbosa, ma perché devo conoscere il substrato sul quale costruire il mio intervento: fargli ripercorrere i momenti della sua malattia e fare il punto della situazione per capire da dove partire. Il primo grande scoglio è proprio questo: un paziente neurologico è più sicuro se sta fermo, con il corpo e con la mente: preferisce guardare al suo passato e non crede che ci sarà alternativa migliore di quella che stava vivendo prima che gli succedesse “il fatto”. Vincere quest’inerzia da paura è il mio primo obiettivo.

[alert_box style=”message” close=”yes”]Un paziente neurologico è più sicuro se sta fermo, con il corpo e con la mente: vincere quest’inerzia da paura è il mio primo obiettivo[/alert_box]
Ricordo con tanta commozione, lo sguardo allibito e diffidente del mio caro N. la prima volta che mi vide entrare dalla porta: lui un uomo d’altri tempi, grande e grosso, uscito da un coma post-infartuale, guardò il figlio esclamando “E sta cusarell a ten a forz e me fa camminà?”. Non sono Maciste eppure N. è tornato a camminare, poi a salire le scale, a passeggiare, a supervisionare il lavoro dell’azienda di famiglia, a giocare con i nipotini e a raccogliere i funghi nei boschi.
L’infarto gli aveva provocato un’anossia cerebrale diffusa, ossia era venuto a mancare l’ossigeno al cervello per un tempo superiore a quello che tale tessuto tolleri; per fortuna però il danno esitato aveva coinvolto “solo” il sistema di codifica e decodifica del linguaggio verbale (non riusciva più a leggere e scrivere) ed il cervelletto.

[alert_box style=”message” close=”yes”]N. , un uomo d’altri tempi, grande e grosso, uscito da un coma post-infartuale: l’infarto gli aveva provocato un’anossia cerebrale diffusa [/alert_box]
Il cervelletto è un organo molto nobile con funzioni ben specifiche: le informazioni che arrivano dalla periferia portano i dettagli dei movimenti nel corso della loro esecuzione permettendo al cervelletto di controllare il tono muscolare nel durante dei movimenti stessi e quindi di adattare subito lo stato di contrazione muscolare alle variazioni di carico o delle richieste fisiologiche per quanto concerne l’ampiezza, l’efficacia, la traiettoria e la durata del movimento. Nel fare questo permette, quindi, di ridurre al minimo le contrazioni non coordinate dei muscoli antagonisti che causano piccole oscillazioni durante il movimento. Sia i segnali periferici che centrali vengono confrontati in ogni istante e usati per produrre una risposta efficiente per modulare ed eventualmente correggere il segnale, sia nel tragitto discendente che ascendente. Qualora sussistano delle differenze tra il movimento programmato e quello effettivamente realizzato il cervelletto è in grado di correggere, con un meccanismo di feedback negativo, il movimento durante il suo realizzarsi, da questo la definizione di “organo comparatore dell’errore”. Un danno cerebellare insomma non impedisce l’utilizzo di una determinata funzione, ma ne riduce l’efficienza. In sintesi possono essere compromesse le funzioni di:

  • Apprendimento motorio
  • Correzione del movimento
  • Mantenimento della stazione eretta (in generale il sistema di anticipazione motoria)
  • Tempistica e cooperazione

N. rappresentava in maniera puntuale questo quadro patologico: poteva, se aiutato, spostarsi, ma come un soldatino: non appena un “ostacolo” gli disturbava la corsa, si irrigidiva sull’attenti, impossibilitato a proseguire; era quindi estremamente insicuro negli spostamenti in ambienti diversi da quello di casa e quindi, nonostante il grosso potenziale di recupero, imprigionato nelle poche, vitali, funzioni di base.
Come ricostruire queste certezze? Proprio come si fa con una casa: partendo da terra, e in questo caso, nel vero senso della parola.

[alert_box style=”message” close=”yes”]Il percorso terapeutico si è avvalso del protocollo per le atassie della professoressa Vannini, che si rifà al concetto della piramide di Bobath[/alert_box]

Il percorso terapeutico per la riabilitazione neurologica si è avvalso del protocollo per le atassie della professoressa Vannini, che si rifà al concetto della piramide di Bobath, con un lavoro in progressione statico e poi dinamico supino, prono, carponi, in ginocchio, a cavalier servente, fino ad arrivare in piedi (e, in una personale revisione, su di un piede solo) richiedendo l’esecuzione di compiti percettivo-motori sempre più raffinati, che richiedevano l’integrazione di più sistemi funzionali e lo rendevano così fiero delle “fatiche” fatte e talvolta così tanto sicuro di sé da fargli compiere pericolose prodezze (che prontamente mi confessava terrorizzato di aver fatto qualche “danno”).
I miei pazienti sanno che non amo esprimermi sul cosa riusciranno o non riusciranno a raggiungere. Oggi però per N. me la sento di affermare che, se solo il tempo fosse stato meno inclemente, in una di queste giornate di sole ci avreste visti fare quel giro in bici che ci eravamo ripromessi un anno fa.

 

di Brigida Pinto

La riabilitazione neurologica: strategie di recupero

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