Crisi economica sanitaria: combattiamo gli sprechi anche nell’interesse dei minori!

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La grave crisi economica sanitaria attuale investe sempre di più il campo della tutela della salute dell’infanzia. I dati Istat diffusi in questi giorni sulla povertà in Italia denunciano una situazione triste per i bambini, soprattutto nel Sud: nel 2012 la metà dei poveri assoluti – 2 milioni 347 mila su 4,8 milioni di abitanti – risiede nel Mezzogiorno, e di questi oltre 1 milione è costituito da minori (contro i 700 mila dell’anno precedente).
[alert_box style=”message” close=”no”]Secondo l’ultimo rapporto Unicef, l’Italia si situa molto in basso per quanto attiene alla cura e ai servizi sanitari per l’infanzia, al 22esimo posto in una lista di 29 Paesi.[/alert_box]

Il tasso di povertà tra i bambini e gli adolescenti è tra i più importanti indicatori di salute e benessere di una società, perché l’infanzia è l’epoca più vulnerabile, per cui l’aumento della povertà infantile è emblematico della profonda crisi economica, politica, sociale del nostro Paese. L’Osservatorio nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza, inaugurato da poco a Milano, conferma l’allarme attraverso uno studio che ha coinvolto 600 pediatri e mille famiglie italiane: nove famiglie su dieci affermano di sentire del disagio economico (per il 19% molto pesante, per il 71 abbastanza), il 54% limita i controlli diagnostici e specialistici, il 60% anticipa lo svezzamento per risparmiare, il 57% trova troppo cari i pannolini, il 37% rischia di andare fuori budget per impiantare ai figli un apparecchio odontoiatrico, il 25% per comprare degli occhiali nuovi e il 21% per scarpe ortopediche e plantari.
La situazione è più critica nelle regioni del Sud, dove paradossalmente le cure costano di più nonostante un livello più basso.

L’organizzazione internazionale Save the children, che dal 1919 lavora in 119 Paesi per migliorare concretamente la vita dei bambini, ha denunciato nel dossier “L’isola che non sarà”, che si sta consumando in Italia un vero e proprio “furto di futuro” ai danni dei bambini, in quanto la povertà li sta privando di prospettive ed opportunità. Tra i responsabili si denuncia anche lo scarso interesse per le politiche dell’infanzia mostrato dalle istituzioni, poichè l’Italia è solo al 18esimo posto in Europa su 27 Paesi per spesa per l’infanzia e famiglia, pari all’1,1% del Pil. Per questo l’associazione ha lanciato la campagna “Allarme infanzia”, a sostegno dell’infanzia a rischio in Italia: “Cancellare il futuro di bambini e giovani significa compromettere il futuro dell’intero paese”, ha dichiarato Valerio Neri, direttore generale Save the Children Italia. Una risposta sensata allo “spread” sanitario è la “Slow medicine”, che si basa sul principio che fare di più non vuol dire fare meglio. L’utilizzo di molti trattamenti sanitari e procedure diagnostiche non sempre si accompagnano infatti a maggiori benefici per i pazienti.
[alert_box style=”message” close=”no”]Interessi economici e ragioni di carattere culturale e sociale spingono all’eccessivo consumo di prestazioni sanitarie, dilatando oltre misura le aspettative delle persone, più di quanto il sistema sanitario sia in grado di soddisfare e soprattutto di quanto sia veramente utile. [/alert_box]

L’alternativa proposta per combattere la crisi economica sanitaria è una medicina “sobria”, che intervenga con moderazione, gradualità, essenzialità, utilizzando, in modo appropriato e senza sprechi, le risorse disponibili. Non si tratta di risparmiare sulla salute, ma di preservarla dagli eccessi di medicalizzazione che, oltre a non essere più sostenibili per la crisi, sono anche dannosi.
Da tempo è stato evidenziato che molti esami e molti trattamenti chirurgici e farmacologici largamente diffusi non apportano benefici per i pazienti e anzi rischiano di essere dannosi, e continuano ad essere prescritti ed effettuati per abitudine, per soddisfare pressanti richieste dei pazienti, per timore di sequele medico- legali, per interessi economici, per dimostrare al paziente di approfondire il caso applicando il concetto del “fare tutto il possibile”. Per contrastare questa “medicina inutile” è necessario agire in più direzioni. Ci vuole in primo luogo una nuova consapevolezza e un’assunzione di responsabilità da parte dei medici, sottoposti a forti pressioni da parte di aziende di prodotti farmaceutici, condizionati dalla concorrenza di colleghi malinformati che possono apparire ai pazienti più scrupolosi perchè “si preoccupano”, dall’informazione distorta fornita da corsi, seminari, congressi organizzati con lo scopo di enfatizzare l’efficacia di nuove terapie e strumenti diagnostici, e anche dagli stessi pazienti che traggono informazioni da riviste divulgative o da siti internet o dal tam-tam tra di loro.
Occorre che i cittadini si rendano conto che per la loro salute non sempre “fare di più significa fare meglio”. Negli USA si valuta che l’ammontare delle prestazioni che non apportano nessun beneficio ai pazienti e di conseguenza rappresentano uno spreco corrisponda ad almeno il 30% della spesa sanitaria. Per contrastare ciò, già nel 2002 era stato lanciata la “Carta della Professionalità Medica per il nuovo millennio”, che ha come suoi principi fondamentali il primato del benessere del paziente, la sua autonomia e la giustizia sociale. In particolare la Carta chiama in causa i medici perché si assumano la responsabilità di evitare scrupolosamente test e procedure superflue, dato che “fornire servizi non necessari non solo espone i pazienti a rischi e costi evitabili ma anche riduce le risorse disponibili per gli altri”. Non dunque un “razionamento” dell’assistenza sanitaria per tagliare indiscriminatamente i costi, ma una riduzione di spreco nell’interesse di tutti. La fondazione statunitense ABIM (American Board of Internal Medicine) basandosi sugli ideali della Carta della Professionalità Medica, ha lanciato nel 2012 l’iniziativa CHOOSING WISELY, con la collaborazione di Consumer Reports, organizzazione non profit di consumatori, per individuare una lista di pratiche mediche non utili e quindi da abbandonare, tipo l’abuso di esami radiografici o di antibiotici, o l’effettuazione annuale di ECG o di esami di laboratorio in assenza di sintomi.

[alert_box style=”message” close=”no”]In Italia, il progetto “FARE DI PIÙ NON SIGNIFICA FARE MEGLIO” è stato lanciato da Slow Medicine nel dicembre 2012.[/alert_box]
Il progetto parte dall’assunto che nel sistema sanitario la qualità non aumenta i costi ma anzi li riduce, con la scommessa che attraverso il coinvolgimento dei professionisti sia possibile anche in Italia ridurre gli alti costi del servizio sanitario non attraverso tagli lineari, che lo mettono a rischio e accentuano ulteriormente le disuguaglianze tra i cittadini, ma intervenendo sulle cause più eclatanti di spreco nello stesso interesse dei pazienti.
La Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri, FMOMCeO, ha ufficialmente aderito al progetto in data 20 febbraio 2013 ed ha concesso il proprio patrocinio all’iniziativa. Ora, tocca a noi, a voi.

Fonte dei dati Wel/Dire

 

di Carlo Alfaro

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