La comunicazione di una brutta notizia in Medicina

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Scrisse Anthony Robbins: “Le parole possono essere mura, ma anche ponti: è importante servirsene come mezzo di unione e non di scissione”.
Frase quanto mai adatta alla circostanza della comunicazione di una diagnosi medica grave da parte del medico, processo nel quale occorre sì fornire tutte le informazioni più rilevanti sul piano assistenziale e prognostico, ma anche individuare e potenziare le risorse personali della famiglia per affrontare la nuova situazione.
E’ dimostrato che le modalità di comunicazione della diagnosi e il contenuto delle informazioni fornite rappresentano un momento cruciale ai fini dell’accettazione e della successiva gestione della malattia.
Una cattiva comunicazione può causare nel paziente, o in chi se ne prende cura, sfiducia, rabbia, rifiuto, insoddisfazione, negazione, paura, ansia, angoscia, compromettendo l’accettazione della diagnosi, l’adattamento alla nuova situazione e l’alleanza col personale sanitario. Il momento della diagnosi ha un impatto talmente forte che, a distanza di anni, molti pazienti continuano a rammentare le esatte parole del medico, l’atteggiamento, le proprie reazioni, con sentimenti spesso ancora negativi nei confronti del professionista. Spesso viene lamentato che la comunicazione sia stata brutale, frettolosa, inopportuna, insensibile, fredda, asettica, superficiale, indifferente, incerta, tardiva, ma molte volte si attribuisce al metodo di comunicazione un vissuto interiore negativo che riguarda piuttosto la non accettazione del contenuto. La maggior parte dei pazienti ammette che sia d’aiuto, per attutire il colpo, il poter parlare liberamente, esprimere emozioni, avere il maggior numero di informazioni, intravedere soluzioni e speranze.
Di fronte ad una cattiva notizia, è noto che l’individuo passa attraverso le classiche fasi della “elaborazione del lutto”: lo shock iniziale, la negazione, il senso di colpa e rabbia, la contrattazione (“venire a patti” con la nuova realtà che deve sostituire quella che ci si era prefigurati), e infine l’accettazione. Il medico sa che, nel comunicare una brutta diagnosi, metterà in atto delle reazioni emotive che spetta solo a lui saper indirizzare verso una risposta costruttiva. Le regole di una comunicazione efficace di una brutta notizia sanitaria sono:

  1. precocità (se il paziente scopre di essere stato tenuto all’oscuro perde fiducia);
  2. chiarezza, con adattamento del livello verbale al grado di comprensione, cultura, conoscenze, emotività della famiglia;
  3. precisione sulle caratteristiche della malattia, evoluzione, possibili complicanze più comuni, prognosi, cure;
  4. sottolineatura dei punti di forza (esempio, corporatura robusta, altri esami nella norma);
  5. setting adeguato (spazio privato, senza interruzioni ed interferenze);
  6. tempo (dare la sensazione di poter fare tutte le domande che si vogliono);
  7. atteggiamento empatico, comprensivo, aperto, di ascolto e accoglienza, e anche di cauto e realistico ottimismo, per non uccidere la speranza, evitando parole negative come “sfortuna”, “purtroppo”, “peccato”;
  8. operatività, con indicazione del piano diagnostico-terapeutico-assistenziale da mettere in atto, il centro specialistico di riferimento, i servizi territoriali, le associazioni di pazienti;
  9. attenzione alla comunicazione non verbale (gesti, mimica, sguardi), che deve essere concordante con le parole, per non essere confondente (esempio sorridere mentre si dice qualcosa di pesante).

Lo studioso Buckman ha indicato con l’acronimo SPIKES i 5 steps per comunicare una brutta diagnosi medica ai pazienti:

  • 1 S = Setting up: Organizzare il colloquio. Consiste nell’individuare spazio e momento ideali, prendersi il tempo giusto, dare tutte le informazioni utili nel modo migliore possibile.
  • 2 P= Perception: Capire cosa sanno il paziente o i suoi familiari della malattia, per integrare, correggere, sfatare miti e pregiudizi, infondere speranza, senza però minimizzare o banalizzare.
  • 3 I= Invitation: Invitare i pazienti ad esprimere liberamente dubbi ed emozioni.
  • 4 K= Knowledge: Condividere e confrontare le informazioni fornite con i pazienti, per capire che messaggio è arrivato.
  • 5 E= Emotion: Accogliere le reazioni emotive dei pazienti.
  • 6 S= Strategy and Summery: Tirare le somme dal colloquio e progettare le tappe successive, in maniera costruttiva e fattiva.

In conclusione, il medico che si trova a comunicare ad un paziente o ai suoi familiari una diagnosi medica di malattia importante, deve rendersi conto che, fornendo una notizia che sconvolgerà l’esistenza di chi ha di fronte, non può limitarsi a dare risposte tecniche e corrette, ma deve entrare nella dimensione esistenziale dei suoi interlocutori, stabilendo una relazione di ascolto, accoglienza, empatia, sostegno, affiancamento, supporto.

Liberamente tratto da “La comunicazione diagnostica nella sindrome di Down o nelle disabilità congenite”, Vittozzi C., “Oikia”, Esperienze e Prospettive in clinica e prassi riabilitativa, 2012. Un grazie particolare alla dottoressa Maria Teresa Martello, grande neuropsichiatra infantile, per avermi segnalato l’articolo e per la luminosa guida dei suoi preziosi consigli.

 

di Carlo Alfaro

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