In aumento i disturbi psichici nell’infanzia e adolescenza: colpa dello stress.

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Bambini già “esauriti” fin dalla più tenera età? Sembra proprio di sì, secondo il rapporto della Società italiana di neuropsichiatria infantile: negli ultimi 10 anni, il numero dei pazienti seguiti dai servizi di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza è quasi raddoppiato, e arrivano oggi a circa 3,6 milioni in Italia i bambini e ragazzi che presentano disturbi neuropsichici. Non un problema italiano, tuttavia, ma mondiale: secondo l’OMS, il 20% dei bambini e degli adolescenti di tutto il mondo ha disturbi mentali, e il 30 e il 70% dei disturbi mentali degli adulti iniziano già in età evolutiva.
Un modello di comportamento disfunzionale acquisito nell’infanzia di fronte alle difficoltà sarà infatti continuato nella vita adulta, con conseguenze deleterie sulla salute psichica. I bambini e ragazzi con disagio psichico sono un esercito silenzioso, spesso vengono etichettati come strani, diversi, fuori dalle regole, asociali, introversi, nervosi, ma nessuno raccoglie il loro SOS nonostante i campanelli d’allarme, restano “invisibili” fino a quando ormai la loro crisi esplode in modo acuto, e arrivano magari in un pronto soccorso, ma ancora una volta condotti per un presunto disturbo organico, una tachicardia o una fame d’aria o un dolore addominale sospetto di appendicite. L’aumento esponenziale dei disturbi psico-emotivi nella popolazione ha sicuramente una causa ambientale, risiedendo nei cambiamenti sociali e familiari che possono creare un ambiente di crescita “tossico” per la psiche già da bambini, per l’esposizione ad elevati livelli di stress sin dalla nascita.
La parola “stress” nasce in ambito metallurgico: si riferisce alla capacità del metallo di reagire a fonti di usura, andando incontro ad eccessiva tensione, prima della rottura.
Lo stress nei bambini si esplica sia attraverso fattori fisici (inquinanti domestici, inquinamento acustico ed elettromagnetico, vita in ambienti chiusi e mancanza di aria e natura, sedentarietà) sia emotivo. Riguardo a quest’ultimo, i bambini dovrebbero avere solo una fisiologica esposizione a situazioni stressanti, quelle formative per la crescita, come il fronteggiare i bisogni primari (fame, sete, evacuazioni, sonno), il camminare, cadere, rialzarsi, raggiungere un obiettivo, ecc, mentre i genitori di oggi li investono di un’ansia senza fine, che è la propria.
Le esperienze che producono ansie, traumi, vissuti emotivi svalutanti o d’inadeguatezza, se non affrontate in maniera appropriata, sono foriere di disagio emotivo e disturbi psicologici, nell’immediato e in futuro. Dietro i disturbi psico-emotivi dei bambini, dunque, si cela innanzitutto un’insicurezza sociale. Una realtà stressogena e sfavorevole con cui il medico oggi deve fare i conti, nell’ottica di un approccio olistico al bambino, nel quale la dimensione organico-corporea va necessariamente inquadrata assieme alla sua dimensione affettivo-relazionale.
Lo stress funge da vero veleno del corpo e della mente per individui più sensibili, predisposti o con meno risorse di difesa. Lo stress cronico uccide, perché la sofferenza psichica si traduce poi nelle patologie più diffuse nei Paesi industrializzati, quali patologie cardiovascolari, tumori, broncopneumopatie croniche ostruttive, cirrosi epatica, malattie intestinali croniche, diabete e obesità, abuso di alcol e droga, disturbi del comportamento alimentare, responsabili di oltre il 70% delle cause di morte.
Lo stress, secondo le statistiche, aumenta il rischio di mortalità in modo paragonabile al fumo. La conseguenza diretta dello stress è l’ansia, la malattia del nostro tempo, frettoloso ed iper-tecnologico, poco “a misura d’uomo”. Nasce come reazione istintiva al pericolo, necessaria a fronteggiarlo, ma subdolamente si può trasformare in uno stato d’animo persistente che toglie gioia alla vita, dà sintomi psichici e fisici, limita le relazioni.
Tra le condizioni predisponenti sembra ci sia un’infanzia infelice, con un “attaccamento non sicuro” nei confronti dei genitori, la sicurezza del cui amore quando siamo piccoli ci rende invece “resilienti” alle difficoltà della vita. Se un bambino immagazzina sin dai primi mesi di vita un “modello interno” di una persona che si prende cura di lui in maniera sensibile e affettuosa, sviluppa il concetto di essere meritevole di amore e attenzione, indipendentemente poi dalle vicissitudini della vita. Di qui la nostra grande responsabilità verso i minori.
La vita di oggi, particolarmente stressante, rende i genitori meno capaci di offrire un “porto sicuro” di affetto e sostegno ai propri figli, i quali a loro volta si trovano ad affrontare, via via che affrontano la realtà complessa della vita societaria oggi, situazioni esistenziali sempre più complesse e ansiogene.
L’ingigantimento dei problemi di salute e sicurezza attraverso il tam tam dei media, la poca disponibilità di tempo che rende i genitori sempre più ansiosi e insicuri, la perdita della memoria storica di ciò che è normale nell’infanzia con l’affermarsi della famiglia “nucleare”- solo i genitori e i figli- fanno sì che il padre e la madre siano concentrati oggi solo sul benessere materiale e fisico dei propri figli, perdendo l’occasione di entrare in contatto intimo e reale col loro universo emotivo, col rischio di crescere un individuo poco incline ad auto-esaminarsi ed iper-concentrato sugli aspetti fisici ed organici, fragile ed ansioso. La più tipica e grave manifestazione dell’ansia è l’attacco di panico, che ha come possibili conseguenze l’agorafobia e l’evitamento di situazioni pubbliche (fobia sociale). Secondo gli studi, bambini geneticamente predisposti esposti durante l’infanzia ad esperienze di distacco dai genitori come separazione e divorzio, o di abuso o di violenza assistita o anche di ipercura, hanno più probabilità di ammalarsi da adulti di ansia e attacchi di panico. Intercettare precocemente il disagio emotivo del bambino significa quindi prevenire i disturbi mentali dell’adulto, anch’essi in grande espansione, come la depressione, la nuova “malattia del secolo”.
Sono oltre quattro milioni gli Italiani in cura farmacologica per depressione, circa 60 milioni in Europa, e 154 milioni nel mondo, e, di questi, più della metà in forma grave ed invalidante. In Italia, un adulto su quattro nel corso della vita è interessato da un episodio di depressione maggiore, una persona depressa su 3 lo è ancora dopo un anno, una su 10 dopo 5 dal primo episodio, oltre la metà avrà una ricaduta nell’arco della sua esistenza.
La grande preoccupazione non è soltanto l’aumento dei casi di disturbi pschici nella popolazione, ma le scarse risposte mediche e sociali al problema, per cui chi vive un disagio sperimenta anche un grosso vuoto di interventi e isolamento sociale.

 

di Carlo Alfaro

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