Genitori-figli: “A casa mio figlio non è così”

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Molto spesso mi capita di ascoltare lamentele da parte dei genitori, che non accettano “le descrizioni dei comportamenti “dei propri figli a scuola, in terapia, in palestra. Scaricando la responsabilità sull’adulto di turno. Spesso la frase tipica è: a casa, mio figlio non fa così, non dice parolacce, non è violento…. La colpa è della maestra, terapista, allenatore, che non lo sa prendere!!! Raramente i genitori rimandano la responsabilità dei comportamenti “problematici” agli stessi bambini, o ancora più raro a se stessi. Dopo un’attenta analisi si nota che molti di questi bambini hanno vissuti problematici: situazioni familiari poco serene, magari parenti malati in casa, convivenza con nonni patriarcali che interferiscono con l’educazione (alterando i ruoli, confondendo così i bambini), frequenti ospedalizzazioni, genitori assenti presi totalmente dal lavoro, scarsa accettazione. Oppure, più semplicemente, mancanza di regole, che non devono essere tante o difficili da rispettare, ma semplicemente dettate dal buon senso… I bambini vengono visti come esseri indifesi, che subiscono le angherie altrui, e che spesso le loro reazioni così eccessive, sono date solo dall’esasperazione. Ma non si tiene conto che invece sono “esseri” terribilmente furbi, che modificano il loro comportamento in base ai luoghi e persone che al momento lo gestiscono. Trasformandosi da angioletti dagli occhioni dolci, a “pesti” oppositive e sgarbate. Assumendo un ruolo in base alle situazioni che vivono. Spesso ci sembrano così sensibili, timidi e accondiscendenti, invece, a scuola sono più spavaldi e irremovibili, o viceversa. In certi momenti si trasformano in un bambino a noi sconosciuto, che non riconosciamo e che non immaginavamo neanche che potesse esistere. Quando questi comportamenti iniziano a diventare problematici: a scuola la maestra lamenta che il bambino disturba la lezione, oppure è aggressivo tanto da essere allontanato dai bambini, perché un po’ tutti sono state vittima di qualche sua angheria. In palestra vuole vincere sempre, non accetta i limiti, le regole, si vuole mettere sempre in mostra, fa “il pagliaccio”, oppure fa la vittima, allora è il momento di fare un’ autoanalisi. Mettendosi in discussione non credendo che tutti non sono in grado di relazionarsi con lui, ma,che forse, c’è bisogno di un ‘aiuto per elaborare e capire quale bisogno il bambino cerca di soddisfare in questo modo. Cosa fa soffrire il bambino. Purtroppo la reazione più comune dei genitori è quella di prendersela a male, vedendo solo ciò che il suo bimbo rappresenta per loro, ma non pensando che il suo comportamento possa modificarsi in base alle diverse situazioni. Anche di fronte alle lamentele di tanti, non sempre la coppia genitoriale si pone il dubbio che forse dovrebbero guardare, in modo diverso, il bambino e ASCOLTARE realmente gli altri. Non vivendo il confronto come critica ma come momento di crescita. Un bambino così, ha buone possibilità di diventare un bullo. Che cos’è esattamente il bullismo ed in che modo si manifesta? Il bullismo rappresenta un fenomeno che si concretizza nell’ambito dei rapporti tra soggetti formalmente appartenenti al medesimo contesto relazionale come quello della classe ed indica un insieme di comportamenti illeciti che vengono perpetuati nei confronti di altri soggetti. Esso può manifestarsi ad esempio, nel rivolgere ai propri compagni di classe violenze fisiche o verbali come calci, pugni, insulti, minacce ecc. Sarebbe estremamente utile per coloro che perpetuano atti di prepotenza nei confronti dei loro compagni di un sostegno. È importante poi, che sia effettuato un attento monitoraggio degli alunni in classe e negli spazi comuni; in momenti come l’intervallo, la mensa, ecc. Si deve perciò, incrementare la vigilanza del personale docente e non-docente sugli alunni. I genitori devono essere attivamente coinvolti; innanzitutto devono essere informati circa il fenomeno del bullismo e devono inoltre, avere la possibilità di confrontarsi con altri genitori ed anche con gli insegnanti; devono quindi, poter parlare con altri delle loro paure nei confronti di questo fenomeno di prepotenza e del loro ruolo e responsabilita’ nel contesto educativo. Quando si ci trova di fronte a una situazione come questa, i genitori non devono sentirsi esasperati e rispondere “lui\lei non è così”. Ma bisogna rimboccarsi le maniche e cercare un REALE aiuto, che potrebbe essere quello psicomotorio. Attraverso il gioco si aiuta il bambino ad elaborare il suo vissuto, inoltre, con i colloqui con i genitori si trovano strategie per modificare tali comportamenti, li si aiuta a “vedere” il problema (spesso i bambini danno il peggio di loro con le mamme) per poi affrontarlo con lo specialista. Solo con il confronto e la collaborazione di tutti si può cambiare. Nascondendosi, non ascoltando e giustificando continuamente, o punendo i comportamenti “ sbagliati” senza capire cosa alimenta la rabbia del nostro bambino non lo si aiuta a crescere sereno, ma rafforzerà sempre più i suoi modi di fare.

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